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il Teatro canzone

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Un sentiero di monologhi e canzoni, in una forma di rappresentazione che proprio da Gaber ha preso il nome di "Teatro canzone".

Più che un omaggio, un impeto.
Un impulso intenzionalmente seguito, con l'intento di raccontare un Gaber diverso da quello celebrato dalla comunicazione di massa, iconizzante un frivolo esecutore di ballate da italietta del boom.

Raccontarlo attraverso i suoi brani meno inflazionati, in più forme, con sguardi diversi, gesti diversi, anche al femminile.


Per i biografi, l'opera di Giorgio Gaber può essere divisa in almeno due periodi:

gli anni '60, il cantante agli esordi diventato famoso per la bravura nel tracciare ritratti, a volte divertenti, a volte illuminanti, su personaggi a cavallo di inorgoglienti torpedo blu e relazionanti bicchieri di barbera e champagne;

il Teatro Canzone della svolta civile, abbandonando la visibilità dell'unico canale televisivo, spazio di sicura fama per pochi eletti, per attraversare teatri ed incontrare il pubblico reale.


Oltre che molto più ampio in termini di produzione artistica, il secondo Gaber è anche quello dell'apice di maturità artistica, di qualità tecnica, di importanza compositiva, spesso scomoda perchè dissacrante verso temi politici, senza schieramento, ed istigante la ricerca di un pensiero esistenziale poco rassicurante.

L'unico filo trasversale è nella pungente capacità di utilizzare l'ironia come dispositivo per pennellare ritratti e pensieri, che in questo modo acquisiscono una facilità di esposizione proponibile ad un pubblico molto eterogeneo.


"Un recital per me è una specie di panoramica delle cose che mi hanno colpito o stimolato di più nell'anno: una trasfigurazione a livello musicale di uno sfogo che uno ha dentro e fa esplodere in una serie di canzoni, in una situazione che poi diventa teatrale.
La possibilità di fare teatro, di andare in palcoscenico e dire quello che penso del mondo e di ciò che mi circonda, è un grandissimo privilegio."

(Giorgio Gaber, intervista su "Il Messaggero" - 29.10.1983)



Lo spettacolo si sviluppa sulla formula dalle origini antichissime del teatro civile.
Sulla scena gli attori dialogano col pubblico narrando fatti, storie, pensieri attuali e di interesse popolare, accompagnando parole, gesti e musica come gli antichi cantori.

Il filone è quello che lega aedi e rapsodi della Grecia antica ai giullari, ai saltimbanchi, ai trovatori delle corti medioevali o alle maschere della Commedia dell'Arte di antica e più recente tradizione.

Artisti girovaghi, detentori della memoria popolare, spesso vati scomodi del destino di un'epoca, divulgatori di notizie, saggi e insieme cinici opinionisti sull'uomo e i suoi valori, viaggiavano di città in città, ognuno nel proprio tempo e nella propria storia di cittadini, varcando ogni confine parlando una lingua comprensibile a tutti, quella dell'espressione artistica.

La forma evocativa più idonea per portare in scena il teatro civile di Gaber.


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